L’Animazione di ieri, di oggi e di domani

L'animazione

di Ieri, di Oggi e di Domani

Più di un secolo fa, nel lontano 1908 in Francia, paese che ha dato i natali alla settima arte, viene realizzato il primo cartone animato della storia dal titolo “Fantasmagorie”, interamente disegnato a mano da Emil Cohl per la casa cinematografica Gaumont. Ventinove anni dopo Walt Disney porta sul grande schermo il primo lungometraggio animato ufficializzando l’entrata dell’animazione come categoria nell’industria cinematografica, “Biancaneve e i sette nani” diventa il film col maggiore incasso del 1937 e il primo di una lunghissima serie di prodotti del suo genere.  Da allora il mondo dell’animazione ha preso man mano piede nel mondo dell’intrattenimento fino a diventare parte integrante del panorama non solo cinematografico.

Nel corso dei decenni l’animazione ha dato modo ad artisti di ogni genere di sperimentare numerose tecniche differenti, dagli sfondi interamente realizzati con pittura ad acqua di Pocahontas all’animazione di oggetti tridimensionali all’interno del disegno, dalla scannerizzazione dei disegni fatti a mano alla loro digitalizzazione, processo con cui lo studio Ghibli lavora a tutti i suoi film garantendo una fluidità unica nel suo genere, fino ad arrivare al 3D che noi tutti conosciamo oggi, merito o colpa della Pixar Animation Studios, che dalla produzione di “Toy Story – Il mondo dei giocattolli” nell’ormai lontano 1995 non ha quasi mai sbagliato un colpo al botteghino. Da allora abbiamo assistito alla crescita esponenziale dell’animazione d’Occidente, da un lato del globo abbiamo visto nascere la Dreamworks, la Disney ha scalato la vetta con i suoi Classici anno dopo anno, acquisendo potere d’acquisto e distribuendo i vari capolavori Pixar, dall’altro continente Toei Animation, Gainax, Madhouse e Bandai Namco Filmworks danno vita ai personaggi dei manga più popolari, senza scordare lo studio Ghibli che resterà il concorrente diretto della grande animazione cinematografica targata Zio Sam, senza mai purtroppo competere ad armi pari.

Vuoi per una scelta di stile, vuoi per economia o per progresso il disegno da entrambe le parti ha lasciato spazio sempre più ai modelli tridimensionali che oggi, sono il fulcro dell’animazione. Ma quando esattamente è stato fatto il grande passo? 

Ciò che probabilmente ha segnato il punto di non ritorno è stata la collaborazione tra Giappone e Stati Uniti nel 2001 che ha portato alla creazione del primo film d’animazione fotorealistico interamente creato in computer grafica, prodotto che molti stentano a ricordare perché ha una trama discutibilissima ma che ha battuto sul tempo e per gli stessi motivi il tanto elogiato Avatar (Quello di James Cameron, che arriverà solo otto anni dopo ma su cui era già a lavoro). 

Di quale film stiamo parlando quindi? Ma ovviamente di “Final Fantasy: The Spirits Within” che visivamente è un vero capolavoro ma la storia che ci accompagna nella visione invece, mi dispiace per Hironobu Sakaguchi (regista nonché creatore della saga videoludica più famosa della storia) lascia ancora oggi molto a desiderare.

Nonostante la qualità sbalorditiva portata sullo schermo il film è considerato un enorme flop a livello commerciale sotto tutti gli altri punti di vista ricevendo solo alcune candidature per alcuni premi prettamente tecnici come il miglior montaggio sonoro o il miglior trailer. 

Perché parlarvi di un film esteticamente bellissimo ma dalla trama bruttissima? Perchè nello stesso anno vinse l’Oscar per la prima volta un film d’animazione prodotto dalla Dreamworks, dalla grafica semplice e volutamente grottesca che fece la storia. Nelle sale arrivò “Shrek” che grazie all’idea di William Steig (autore di libri per bambini da cui è stato tratto il film) e alla mente di sceneggiatori geniali come Ted Elliott e Terry Rossio (Aladdin, La strada per Eldorado, Pirati dei Caraibi e tanti altri) ridicolizzò tutto quel mondo fiabesco di cui la Walt Disney aveva fatto il suo vanto.

 Inizia così la corsa alla meraviglia degli anni 2000, le trame dei film di animazione nella loro semplicità portano sul grande schermo storie sempre migliori, che faranno commuovere, arrabbiare ed emozionare il grande pubblico.  

La Disney ci darà opere di grande successo e flop incompresi come Le follie dell’Imperatore, Lilo & Stitch, Atlantis o Il pianeta del Tesoro, nel 2005 produrrà il suo primo film interamente in CGI, “Chicken Little – Amici per le penne”, acquisterà nel 2006 la Pixar Animation Studios regalandoci pellicole non richieste come “Cars – Motori ruggenti” e taglierà definitivamente la spina al 2D nel 2011 con Winnie The Pooh: Nuove Avventure nel bosco dei Cento Acri.

Da un bel giorno, più o meno dall’uscita di “Rapunzel-L’intreccio della torre” in poi purtroppo ci sarà un calo creativo nell’animazione d’Occidente dal punto di vista stilistico.

Cambia la tecnologia, cambiano i budget e cambiano le storie. I modelli del viso saranno sempre uguali se non si tratta di animali antropomorfi o di oggetti con le emozioni, e questo varrà non solo per la Walt Disney Pictures ma anche per la Dreamworks. Mentre l’Oriente prosegue nelle sue tradizioni espandendo il mondo degli Anime tra più di seicento case di produzione alimentando un mercato di circa due milioni di euro all’anno, l’Occidente continua a camminare, zoppicando tra il ricordo di come si racconta una storia e un’estetica omologata che strizza l’occhio allo stile giapponese : occhi enormi e tondi, nasi bizzarri, colori sgargianti e lineamenti del viso tutti molto simili tra loro.

Durante il decennio successivo si darà il via a una nuova era dell’animazione: per quanto la qualità tecnologica avanzerà solamente dal punto di vista del dettaglio, verranno scritte e mostrate storie meravigliose anno dopo anno. 

Probabilmente è inutile citarvi tutti i titoli se siete appassionati del settore, possiamo dirvi che si può tracciare una lunga linea temporale immaginaria che va da “Up” a “Coco” in cui casa Disney manterrà il primato sul numero di Oscar aggiudicati come miglior film d’animazione battuti per un solo anno da “Rango” della Paramount Pictures con protagonista Johnny Depp nei panni di un bizzarro camaleonte. 

Allo stesso modo in quegli stessi anni Dreamworks ci porta ad un altro livello con la saga di “Dragon Trainer” o “Le 5 Leggende”, Ghibli ci mostra opere come “Quando c’era Marnie” o “Si alza il vento” e molte altre case di produzione minori entrano nell’arena dell’Academy aggiudicandosi le nomination agli Oscar, tornando però a casa a mani vuote ma con meritatissime candidature, ed è merito delle stesse che si avverte il tentativo di sganciarsi dal perenne CGI, prodotti come “Anomalisa” o il ritorno di Wallace & Gromit in “Shaun vita da pecora” ci dimostrano che un’altra animazione (la stop-motion) con le tecniche di un tempo ancora è possibile.

Questo fino alla nascita, nel 2019, della tecnica di fusione proposta da Robert Persichetti Jr. per la regia di “Spiderman – Un nuovo universo” (prodotto da Sony Pictures, Columbia e Marvel Entertainment) che intuisce come l’utilizzo di un modello classico 3D per rappresentare un’icona del fumetto non sarebbe all’altezza del prodotto ma anche che il 2D non sarebbe al passo con i tempi. Nasce così l’esigenza di riabbracciare il caro abbandonato disegno, utilizzando la pittura seppur in forma digitale, ricopiando la tecnica del fumetto degli anni ‘70 e utilizzando il processo inverso dello Studio Ghibli, ossia prendere ogni fotogramma realizzato in CGI per poi lavorarci disegnandoci sopra in 2D. Il risultato finale ha dato vita di fatto a un nuovo processo di creazione del mondo animato che fonde alla perfezione la nuova e la vecchia scuola in un ibrido tecnologico apprezzato da tutti, a tal punto che è stato ripreso per gli anni a seguire fino ad oggi da molti altri prodotti, basti osservarne le influenze nelle ultime stagioni di “Love, Death & Robots” o “Arcane” entrambe produzioni internazionali fra più paesi e distribuite dalla piattaforma Netflix. 

E seppur con qualche ritardo ovviamente la concorrente di mamma Disney di certo non vuole farsi parlare dietro, ancora presente in alcune sale è arrivato sul grande schermo “Il gatto con gli stivali 2” di casa Dreamworks, che ci mostra quanto l’utilizzo di questa tecnica sia versatile, giocando tra modelli in CGI, pittura digitale e il buon vecchio elemento in 3D volutamente non integrato nei livelli di scena ci dimostra come ci sia ancora molto da poter sperimentare soprattutto nelle scene d’azione.

Quest’anno la vittoria se l’è aggiudicata “Pinocchio” di Guillermo del Toro, per la prima volta un lungometraggio d’animazione targato Netflix vince gli Oscar, e non è certamente un prodotto d’animazione realizzato in computer grafica, che segue i canoni stilistici ormai standardizzati da anni, bensì è realizzato quasi interamente in stop motion. Forse non ha vinto per la sceneggiatura ma indubbiamente c’è un lavoro tecnico impressionante nella sua realizzazione, quindi ci chiediamo, se non è solo una questione politica dunque forse c’è da sperare in una nuova rotta? Forse questo ci dimostra che fermarsi e guardare indietro per capire da dove siamo partiti è meglio che andare avanti a tutta velocità? Cosa ci aspetta nel futuro dell’animazione non lo sappiamo, a nostro parere è solo un bene che siano tornati, almeno in parte, l’amore e l’ammirazione per le tecniche del passato, trovando il loro spazio tra la CGI, per colmare quel vuoto che da troppi anni era presente nell’affascinante mondo dell’animazione cinematografica.

di Lorenzo Maria D’Amico 14/03/2023 

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